IL TRIBUNALE
   Ha  deliberato  la  seguente ordinanza nel procedimento iscritto al
 numero 295 del registro delle  impugnazioni  delle  misure  cautelari
 personali  dell'anno  1995,  riservato  per  la decisione all'udienza
 camerale dell'11 maggio 1995;
   Sulla richiesta di riesame proposta nell'interesse di Magliari
  Saverio, nato ad Altomonte il 21 maggio 1954  ed  in  atto  detenuto
 presso   la   casa   circondariale   di  Paola,  avverso  l'ordinanza
 applicativa della misura cautelare della custodia in carcere,  emessa
 dal  giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  il tribunale di
 Catanzaro in data 12 aprile 1995;
   Sentiti  i  difensori,  avv.ti  Eugenio  Donadio,   del   foro   di
 Castrovillari e Lucio Esbardo, da Cosenza;
   Esaminati gli atti di causa;
   Udito il relatore;
   Premette:  con  ordinanza  del  12  aprile 1995 il g.i.p. presso il
 locale tribunale ha disposto l'applicazione della  misura  custodiale
 carceraria   nei  confronti  di  ventisette  imputati  (tra  i  quali
 l'odierno  riesaminante),  per  il  delitto   di   associazione   per
 delinquere  di  stampo  mafioso e per altri delitti specifici, reati,
 tutti, relativamente ai quali e' stato  disposto  rinvio  a  giudizio
 dinanzi  al tribunale di Castrovillari, dallo stesso giudice, come da
 decreto indicato in atti.
   Avverso detta ordinanza e' stata proposta richiesta di  riesame  da
 parte dei difensori, con atti del 19 e 21 aprile 1995.
   Con  nota  in data 4 maggio 1995 il pubblico ministero ha trasmesso
 gli atti.
   Alla odierna udienza  camerale,  fissata  per  la  trattazione  del
 riesame,  celebrata  in  assenza  del  p.m.,  la  difesa  ha concluso
 insistendo per la declaratoria di nullita' della ordinanza  impugnata
 (con   parziale   bis   in   idem)   e   ha  sollevato  questione  di
 costituzionalita'.
   All'esito il tribunale ha riservato la decisione.
   Rileva:
     A) E' infondata la eccezione di incompetenza del primo giudice.
   Pacifici  i  presupposti  di  fatto  (di  adozione   della   misura
 successivamente  al  disposto  rinvio  a giudizio e di disponibilita'
 degli atti del processo), e'  indubbio  che  la  competenza  rispetto
 all'esercizio del potere cautelare e' determinabile secondo la regola
 del  criterio funzionale e della disponibilita' materiale e giuridica
 del procedimento.
   Anche se il quadro normativo in materia non sembra esauriente  (dal
 momento che: a) l'art. 279 fissa la competenza in capo al giudice che
 procede;  b)  in  materia reale, quanto al sequestro conservativo, e'
 statuito, in particolare, che "prima che gli atti siano trasmessi  al
 giudice  competente, provvede il giudice per le indagini preliminari"
 e,  quanto  al  sequestro  preventivo,  che  provvede   "il   giudice
 competente  a  pronunciarsi  nel  merito";  c)  l'art.  91 disp. att.
 individua il giudice competente dalla fase degli atti preliminari  al
 dibattimento  in  poi,  fino alla pronuncia finale), la competenza e'
 regolata, per il profilo che interessa, nel senso che,  nel  transito
 da  un giudizio ad un altro, spetta al giudice che ha provveduto fino
 a che mantiene la disponibilita' degli atti processuali.
   La soluzione, univoca e coerente, perche' espressiva  di  un  ovvio
 principio  (ereditato, tra l'altro dal vecchio sistema), e' stata, da
 ultimo, ribadita dalle  sezioni  unite  della  Cassazione  (sent.  n.
 34752/1994  in data 24 marzo 1995, risolutiva di conflitto tra questo
 tribunale ed il locale ufficio g.i.p);
     B) Sotto il profilo  di  "gravita'  indiziaria  di  colpevolezza"
 l'ordinanza impugnata si astiene espressamente dal motivare in ordine
 alla ricorrenza del detto requisito, sul presupposto (pacifico) della
 avvenuta' emissione del decreto  dispositivo del giudizio.
   Orbene,   e'   evidente   come  la  ordinanza,  lungi  dal  potersi
 qualificare come "nulla" ai  sensi  dell'art.  2972.2  lett  c),  del
 codice  di  rito, avvalori la correttezza (enunciativa e sostanziale)
 del  suo  porsi,  in   correlazione   con   il   fermo   orientamento
 giurisprudenziale,  secondo  il  quale: Attesa l'intervenuta modifica
 dell'art. 425 del c.p.p., dal cui testo, per effetto  della  legge  8
 aprile 1993 n. 105, e' stata eliminata la parola "evidente" (riferita
 alla   presenza   delle   condizioni   che,   all'esito  dell'udienza
 preliminare, debbono da luogo al proscioglimento dell'imputato), deve
 ritenersi  nuovamente  vigente  il  principio,  gia'  affermato nella
 vigenza  del  codice  abrogato,  secodo  il   quale,   in   tema   di
 provvedimenti   riguardanti   la  liberta'  personale  dell'imputato,
 l'avvenuto rinvio a  giudizio  di  costui  si  pone  come  motivo  di
 preclusione in ordine alla proposizione e all'esame di ogni questione
 attinente alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (cfr., da
 ultimo,  Cass.  sez.  V,  5 maggio 1994 n. 1652, Bonifati ed altri, a
 conferma di un orientamento prevalente della  Cassazione,  in  specie
 dopo  la abolizione del requisito della "evidenza" probatoria ai fini
 del rinvio a giudizio; cfr., anteriormente e  tra  le  piu'  recenti,
 Cass.,  sez. V, 17 marzo 1994, Morando e, sez. I, 12 febbraio 1994 n.
 5196, Russo).
   In linea con il citato indirizzo (ed in relazione a  casi  diversi,
 ma ugualmente significativi), le due pronuncie che seguono:
     A)  "Detto  principio  non soffre deroga nemmeno nel caso in cui,
 intervenuta sentenza di condanna, questa, in  sede  di  legittimita',
 sia  stata  annullata  con  rinvio  per  difetto  di motivazione, non
 comportando  una  tale  pronuncia  il  venir  meno  degli  indizi  di
 colpevolezza  che  a  suo  tempo  avevano  determinato  il  rinvio  a
 giudizio" (Cass., sez.  I, 7 gennaio 1994, n. 5120, Bontempo Scavo);
     B) "invece possibile, anche successivamente al rinvio a giudizio,
 rimettere in discussione il principio, allorquando si sia in presenza
 di fatti nuovi o sopravvenuti che, per cio' stesso,  non  vengono  ad
 essere  in  contrasto con la intervenuta decisione" (Cass., sez. I, 5
 febbraio 1994, n. 5257, Mancion).
   La forza  dell'evidenziato  principio  trova,  dunque,  il  proprio
 fondamento in due argomenti di non trascurabile rilievo:
     1)  la  introduzione  della  modifica  legislativa alla regola di
 giudizio per le emissioni del decreto dispositivo del  giudizio,  con
 la  conseguenza  che  la soppressione dell'inciso "evidente" (dopo il
 verbo "risulta") postulando "la insussistenza di  elementi  denotanti
 una  situazione  di  incolpevolezza  o  di  impunita' dell'imputato",
 comporta che "gli elementi di colpevolezza, la  cui  sussistenza  per
 definizione  normativa,  costituisce  motivo di legittimizzazione del
 provvedimento di rinvio a giudizio, si rendono valutabili  nuovamente
 soltanto all'esito delle indagini dibattimentali";
     2)  la  rivalutazione  della disciplina del rinvio a giudizio nei
 termini  fissati  dall'art.   374   c.p.p.   abrogato,   laddove   la
 giurisprudenza  era  consolidata nell'escludere, una volta emanata la
 ordinanza di rinvio a giudizio, qualsiasi discussione sul  fondamento
 dell'accusa,   sulla  qualificazione  giuridica  del  fatto  e  sulla
 sufficienza  degli   indizi:   conseguentemente,   le   contestazioni
 contenute  in  tale  ordinanza  non  erano modificabili ai fini della
 pronuncia sulla liberta' personale e  quindi  non  erano  sindacabili
 neppure in sede di riesame del relativo provvedimento.
   La  forza  del principio rende necessitato il ricorso alla verifica
 di costituzionalita'.
   La questione e' rilevante poiche' la norma di  cui  si  segnala  la
 incostituzionalita'  (il  disposto  dell'art.  309  in relazione agli
 artt.  292.2  e  425  c.p.p.  nella  parte  in  cui,   alla   stregua
 dell'orientamento  esaminato,  e'  consentito omettere la motivazione
 sul  requisito  di   "gravita'   indiziaria   di   colpevolezza"   e,
 correlativamente,   e'  precluso  ogni  controllo,  sia  formale  che
 sostanziale, sul punto, in sede di riesame) e' di immediata e diretta
 applicazione nel procedimento.
   La questione non e' manifestamente infondata, in relazione:
     a)   al   disposto   dell'art.   13.2   Cost.,   che   pone  come
 imprescindibile  la  presenza  di   "atto   motivato   dell'autorita'
 giudiziaria",  quale  idoneo  titolo  detentivo,  mentre, nel caso in
 esame, la motivazione sarebbe ex lege superflua;
     b) al disposto dell'art. 111.2 Cost., che salvaguardia la  tutela
 di legittimita', contro i provvedimenti sulla liberta' personale, per
 "violazione   di   legge",   violazione  riscontrabile  vieppiu'  nel
 preliminare controllo di merito, eppure preclusa, nel caso in  esame,
 in  virtu'  di  una  presunzione assoluta di "probabile colpevolezza"
 insita nel decretato rinvio a giudizio;
     c) al disposto dell'art. 3 Cost., per una evidente disparita'  di
 trattamento,   in   contrasto   con   ogni   coerenza  sistematica  e
 ragionevolezza normativa, sul tema primario di tutela del diritto  di
 liberta',  tra  indagati  ed  imputati  ed  anche tra imputati, avuto
 riguardo alla fase processuale  precedente  la  decisione  finale  di
 udienza  preliminare  e  quella  immediatamente successiva, fino alla
 emissione della sentenza conclusiva del grado, in specie, laddove:
      la scelta operata dal  p.m.,  del  momento  preocedimentale  nel
 quale  azionare  la  pretesa  cautelare,  e'  insindacabile  e non e'
 motivata da specifiche ragioni o  dalla  sopravvenienza  di  elementi
 nuovi  che ne sollecitino l'esercizio di un potere prima non ritenuto
 cogente;
      detta scelta si coordina con una decisione preliminare, a  tasso
 garantistico non ben definito (perche' un errore di prospettiva sulla
 utilita'   del   dibattimento   si   ripercuote  inevitabilmente  sul
 condizionato potere cautelare e senza che sia ammesso un controllo di
 merito,  ne'  sul  decreto  di  rinvio   a   giudizio,   notoriamente
 inoppugnabile,  eppure  del  tutto  immotivato  (a  differenza  della
 parallela ordinanza  dell'abrogato  regime  processuale),  ne'  sulla
 ordinanza   cautelare,   come   si   e'   gia'   notato,  altrettanto
 sinsindacabile nel  primario  e  fondante  requisito  sostanziale  di
 "probabile colpevolezza";
      dal  combinarsi  delle  sue  incontrollabili potesta' (di azione
 cautelare e di provvedimento  conseguente)  puo'  derivare,  come  e'
 certo  quanto  al  caso in esame (posto che gli elementi fattuali non
 erano mutati dopo la richiesta di rinvio a giudizio),  un  verosimile
 "aggiramento"  dell'istituto  del riesame, effettivo nel controllo di
 merito solo su provvedimenti restrittivi antecedenti  al  decreto  ex
 art. 429 c.p.p.;
     d) al disposto dell'art. 24.2 Cost., perche', per le ragioni gia'
 dette,  restringendosi  la  sfera di tutela sulle censure proponibili
 avverso   il   provvedimento   cautelare    impugnato,    ne    resta
 ingiustificatamente  ed  aleatoriamente  sacrificato  il  diritto  di
 difesa in relazione al  bene  primario  della  liberta',  tanto  piu'
 tutelabile,   quanto   piu'  il  sacrificio  di  esso  si  ponga  con
 predominante   efficienza   e   senza   l'adeguato   controllo    sul
 corrispondente fondamento sostanziale di merito.
   La  involuzione  sistematica  e  di  principi,  che sempre maggiori
 lamentele suscita nella  attuazione  pratica  del  nuovo  codice,  si
 coglie  in  uno  degli  aspetti  piu'  rilevanti  in  relazione  alla
 questione agitata, dal momento che una pericolosa linea  di  tendenza
 nel senso prospettato instaurerebbe una prassi dai risvolti ingiusti,
 incontrollabili   ed   antigarantistici,  tali  da  compromettere  la
 coerenza stessa del modello processuale, con l'ovvia  conseguenza  di
 produrre risultati non di rado insoddisfacenti sul piano della tutela
 sostanziale dei valori coinvolti.